
#8 THE HUG TREATMENT
Correva l' anno 2017 e durante l' erasmus a Monaco di Baviera ho avuto il piacere di conoscere l' architetto Gemma Koppen.
Le premesse non promettevano un erasmus di festini e cazzeggio, e la paura di un tema così complesso mi attanagliava, poi, l' empatia non era il mio forte, ma decisi di iscrivermi, in bilico tra la paura e la speranza di essere accettata.
Presentandoci uno ad uno seduti in cerchio.
Ci mise alla prova, poiché ci diede il compito di andare in un negozio di oggetti usati, sceglierne 3 e tornare l' indomani.
Il giorno dopo l' aula sembrava la casa della nonna ed evidenziava, data la stranezza degli oggetti racimolati da ognuno, che forse non eravamo tutti a posto.
Onestamente trovai quest' esercizio particolarmente difficile poiché il mio profilo emozionale era totalmente schiacciato da quello razionale, ma le scelte non erano molte e mi dovetti sforzare quantomeno di fingere di essere interessata alle elucubrazioni altrui.
Di fatto con il senno di poi è stato bello capire le personalità del gruppo attraverso la follia degli oggetti portati da ognuno di noi.
Questo esercizio di analisi doveva porre le basi per quella che sarebbe stata la vera progettazione del cancer center.
Il goal principale insomma era quello di creare una nuova esperienza per i pazienti che fosse in grado di rendere la convalescenza il più leggera possibile.
Era la prima volta che mi approcciavo ad un architettura "freeform".
Di fatto fu una follia vera e propria perché il progetto aveva una lista di funzioni lunghissima da rispettare, ognuna con una metratura specifica.
Far entrare tutto in una freeform non era propriamente un gioco da fare a tempo perso.
Smussa di qua, curva di la; dopo molteplici tentativi e imprecazioni arrivai alla forma finale, dove tutto pareva incastrarsi perfettamente.
Nella mia follia, una forma del genere aveva solide motivazioni.
Questa forma curva mi ha aiutata anche nell' intento di avere luce naturale in ogni parte dell' edificio, soprattutto grazie alla corte interna che permette, oltre che di avere una zona di filtro e decompressione all' interno dell' edificio, di avere luce naturale nel cuore dell' architettura.
Era importante dare il controllo dell' edificio al paziente che molto spesso in ambienti ospedalieri si sente confuso e perso.
Progettare un ospedale più "homie" mi ha fatto aprire gli occhi su quanto possa influire l' ambiente che ci circonda sul nostro stato d' animo, soprattutto quando le percezioni sono alterate.
E fu così che mi innamorai della mia parte empatica, nascosta così bene e ritrovata nell'angolo di un negozio dell' usato.